Le forme – con i sentimenti di dolore, di piacere- sono il fondamento della nostra mente e dei suoi cambiamenti.
Spesso non ce ne rendiamo conto perché le forme, con i loro suoni e la loro luce, accompagnano silenziosi il mormorio inarrestabile della nostra vita.
L'intreccio della memoria è reciproco. Pertanto, l’architettura deve comunicare questa memoria instabile.
Non ci siano forme o luoghi privi memoria. C’è memoria anche nel deserto; anche dove sembra completamente vuoto e libero da ogni storia c’è comunque una preistoria.
E l’architettura deve usare i propri strumenti, che non sono le parole, deve usare materiali, proporzioni: deve usare calore e freddo. Deve usare l’orecchio, l’occhio, deve impegnare l’intero essere umano per comunicare qualcosa che spesso non solo è verbale, non è solo linguistico, ma qualcosa che è profondamente parte del nostro stesso orientarci in questo mondo, e naturalmente la memoria non ne rappresenta solo un aspetto particolare.
Non si costruiscono soltanto macchine dove vivere, ma qualcosa degno di memoria: questo è fondamentale nella vita.
I recenti studi dimostrano che il 96% del dna dell’essere umano è esattamente identico a quello della scimmia; il restante 4% che fa la differenza è la memoria.